L'oro ha raggiunto il picco da quasi quattro mesi, supportato da un dollaro USA più debole. Le quotazioni sono salite a 1.888,45 $ l'oncia mentre scriviamo, superando anche quella che veniva definita un’importante “resistenza” nel mercato finanziario (1.875 $).

L'indice del dollaro è sceso al minimo di tre mesi: "la narrativa si sta chiaramente spostando verso l'inflazione... ma è la debolezza del dollaro USA, probabilmente il fattore chiave e principale”, citando l'analista indipendente Ross Norman, CEO di MetalsDaily.

Alla fine l’inflazione sembrerebbe essere arrivata

Occhio all'inflazione, ma sono i tassi reali a guidare l'oro

Da sempre l’oro è considerato un’ottima copertura contro l'inflazione. In particolare questa narrativa è più diffusa in USA, con le aspettative di inflazione al 2,42% (ai livelli più alti da aprile 2013). Ancora più importante è il cosiddetto “tasso di pareggio" o inflazione media attesa, nei prossimi 10 anni. Esaminando i numeri, le aspettative di inflazione sono effettivamente aumentate, ma il punto in cui le aspettative a lungo termine saliranno al di sopra di quelle a breve, potrebbe essere il famoso “trigger point” per un balzo verso le quotazioni viste nel 2020. Se ciò avverrà, l'oro si muoverà in modo aggressivo, poiché rappresenterebbe un mercato che non condivide più il punto di vista della Federal Reserve, ovvero che l'inflazione è effettivamente "transitoria" e che la pressione sui prezzi non provocherà uno shock per il sistema.

Probabilmente ciò che influenza maggiormente il prezzo dell’oro - o che comunque può essere visto come l’altra faccia della medaglia - è il mercato dei TIPS (Treasury Inflation Protected Securities). La correlazione mobile tra l'oro e i rendimenti reali a 10 anni è a -0.905, il che significa che il 90% della varianza dell'oro può essere spiegata dai tassi reali. In sostanza, storicamente se i rendimenti del Tesoro aggiustati per l'inflazione diminuiscono o diventano sempre più negativi, le quotazioni dell’oro tendono ad aumentare. Essendo un asset “non-yielding”, c'è infatti un costo opportunità per detenere oro: maggiori i rendimenti attesi corretti per l'inflazione nel mercato obbligazionario, meno convincente l'investimento in oro. O viceversa.

I dati attuali stanno a significare che le aspettative di inflazione aumentano a un ritmo più veloce rispetto ai rendimenti del Tesoro. Eventuali segnali di dati più deboli negli Stati Uniti (si veda l’articolo NFP US - quale significato per l'oro) potrebbero impattare i rendimenti reali.

Politiche monetarie ed effetti sull’economia

Prima o poi gli effetti negativi dell'espansione dell'offerta di moneta - l'aumento dei prezzi delle attività e / o dei beni di consumo - vengono alla luce: il potere d'acquisto del denaro sta diminuendo, l'amarezza nella società cresce dilagante e la produzione e l'occupazione ne soffrono. Con una politica di controllo dei tassi di interesse, c'è un pericolo particolarmente grande che le banche centrali scivolino in una politica monetaria sempre più inflazionistica. Non da ultimo ci si può aspettare che tassi di interesse abbassati artificialmente alimentino i governi a politiche di spesa in deficit.

Dove rivolgere lo sguardo

Nel breve, brevissimo termine, e sulla scia dell'aumento dei prezzi negli Stati Uniti, i verbali dell'ultima riunione politica della Federal Reserve prevista per mercoledì 19 maggio (ieri alle 20.00 ore italiane, ndr.) dovrebbero fornire ulteriore chiarezza sulle prospettive di politica monetaria della Banca centrale e sulle opinioni dei responsabili politici sull'inflazione.

Citando ancora Ross Norman, “la Fed non sarà tentata di scuotere la barca, ora che la ripresa sta acquistando un certo slancio. L'aumento dei tassi o la discussione sul tapering sarebbe probabilmente controproducente in questa fase".

Sono tempi interessanti per il metallo giallo.