Fenomeno temutissimo dai mercati, la stagflazione – una crescita bassa o negativa accompagnata da inflazione alta – si è già fatta vedere negli ultimi mesi, quando la variante Delta del Covid-19 ha ridotto il Pil e il caro-prezzi è salito ben al di sopra degli obiettivi di Fed e Bce.

Il coro di banchieri centrali ha finora insistito sul fatto che si tratti di un malessere temporaneo e che torneremo presto allo scenario “Goldilocks”. Ma non tutti sono d’accordo: cassandre storiche, come Nouriel Roubini, sostengono che l’immensa quantità di denaro stampato dalle Zecche di Stato continuerà ad alimentare l’inflazione. Questo effetto sarà amplificato da una serie di choc esterni, tra cui le conseguenze del cambiamento climatico, il protezionismo rampante diffuso in buona parte del mondo e l’aumento del costo dei trasporti internazionali.

Se a ciò si aggiungono gli aumenti salariali richiesti dai lavoratori in un periodo in cui le aziende fanno fatica ad assumere, è chiaro che le pressioni inflazionistiche saranno tutt’altro che temporanee. Una situazione del genere metterebbe alle corde le banche central: ritirare lo stimolo e alzare i tassi rischierebbe una crisi finanziaria e la recessione, mentre mantenere le politiche attuali fomentererebbe ancora di più l’inflazione. In questo caso, sono in molti a predire un crollo negli utili delle aziende, uno schianto dei mercati azionari e una fuga degli investitori verso beni-rifugio come l’oro e le obbligazioni del governo americano.

Il timore degli operatori - come riportato anche da IlSole24Ore - è che le spinte inflattive possano, da una parte, spingere le banche centrali verso una normalizzazione della politica monetaria e, dall'altra, avere un impatto negativo sulla crescita, producendo appunto il fenomeno della stagflazione.

Così ci troveremmo, rileva il Financial Times, di fronte a una situazione che riflette quella che si registrò all'indomani della Seconda Guerra Mondiale: quel che è certo è che i banchieri centrali devono ora camminare su una corda tesa e tenere d'occhio contemporaneamente i dati economici, i rapporti qualitativi sulle catene di approvvigionamento e i sondaggi sulle aspettative di inflazione.

"Le circostanze storiche non si ripetono mai perfettamente e forniranno, nel migliore dei casi, una guida imperfetta al percorso dell'economia nei prossimi anni" scrive il Financial Times. Però sono valide nel fornire "un esempio" di quanto costerebbe un "passo falso". 

È indubbio che poche prospettive siano peggiori per un'economia della stagflazione: questo perché i valori delle attività sono rapidamente erosi dall'inflazione, così come i rendimenti del capitale. Ma, a differenza dell'inflazione che potrebbe accompagnare l'alta occupazione, l'impatto sul mercato del lavoro è negativo in quanto i salari scenderebbero.

"Fortunatamente è chiaro che l'economia globale non sta ancora sperimentando questo esito infelice" scrive il Financial Times: quello che preoccupa quindi è solo un orizzonte temporale nel lungo termine, in quanto le economie sono ora sostenute da una massiccia quantità di stimoli. Mentre l'inflazione è in rialzo con la riapertura delle economie, lo stesso vale per la crescita. Certo: c'è da aspettarsi una leggera decelerazione nel ritmo di espansione nel momento in cui le economie andranno normalizzandosi dopo la pandemia. 

Tuttavia, gli investitori sono in allarme per la combinazione di interruzione della catena di approvvigionamento, alti prezzi del petrolio e carenze di manodopera. Le pressioni temporanee sui prezzi potrebbero essere incorporate in aspettative a più lungo termine e durare anche quando svanirà la spinta alla crescita determinata dalla riapertura.

Per il momento tutto quello che le banche centrali possono fare è porre la massima attenzione ai rischi e continuare con i loro piani per allentare gradualmente i loro programmi di stimolo. Secondo il Financial Times, i governi dovrebbero valutare le necessarie riforme sul lato dell'offerta per allentare i colli di bottiglia. 

 

Gli anni '70 dello shock petrolifero

La stagflazione è comunemente associata agli anni '70, quando gli alti tassi di crescita del dopoguerra iniziarono a svanire e l'inflazione aumentò, in particolare dopo lo shock petrolifero seguito alla Guerra dello Yom Kippur del 1973. Il mondo, tuttavia, oggi è molto diverso.

Cinquant'anni fa il tipo di spirale salari-prezzi che fu portata avanti dai sindacati, cercando di tenere il passo con la corsa dei prezzi, "è improbabile che si ripeta". Anche i banchieri centrali sono meno tolleranti nei confronti dell'inflazione e hanno molto margine per inasprire la politica monetaria, non solo aumentando i tassi di interesse ma anche ritirando il quantitative easing.

Secondo il Financial Times "un inasprimento prematuro, tuttavia, potrebbe portare le banche centrali a provocare la stagnazione che temono: soffocare la crescita proprio mentre l'economia si sta riprendendo". Lo stesso Jerome Powell, presidente della Fed, la scorsa settimana ha osservato come le banche centrali stiano sottovalutando la necessità di continuare gli stimoli.

L'autorevole testata britannica fa quindi un confronto con il periodo dopo la Seconda Guerra Mondiale, "un parallelo storico migliore degli anni '70". Inizialmente l'inflazione aumentò considerevolmente negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ma poi scese rapidamente.

Come ha sottolineato la società di consulenza Capital Economics, nella Gran Bretagna dell'epoca la necessità di milioni di soldati congedati di trovare rapidamente nuovi posti di lavoro portò a carenze di manodopera in mezzo alla crescente disoccupazione. "La fine della pandemia ha prodotto una dinamica simile" segnala il Financial Times. 

 

La tempesta perfetta

Di sicuro, se l'inflazione dovesse assumere un aspetto più strutturale, il rischio stagflazione si farà più concreto, anche perché - come ha avvertito pochi giorni fa lo stesso Powell - non siamo tornati alla piena occupazione che sarebbe l'anello mancante per iniziare il tapering.

Ma il ritiro degli stimoli è ormai messo in calendario per fine 2021, e un rialzo dei tassi americani è previsto per la metà del prossimo anno.

Cosa succede in questa che gli analisti, interpellati da Reuters, definiscono la "tempesta perfetta"? Non si arresta la corsa del dollaro, che seppur indicatore di un'economia forte, rischia di danneggiare soprattutto gli esportatori americani. 

La divisa americana si sta apprezzando in modo notevole, alimentata anche dall'aumento dei rendimenti dei Treasury Usa e dalle preoccupazioni sulla possibile battaglia per alzare il tetto del debito degli Stati Uniti. Il suo rally può avere implicazioni per l'economia americana, dal momento che rende i suoi prodotti meno competitivi all'estero e più costoso per le multinazionali riconvertire i loro fondi nella valuta nazionale.

A dare slancio al rally del dollaro sono anche i timori per il crollo di China Evergrande Group, così come i timori per l'aumento dell'inflazione e la crescita potenzialmente più lenta. Sono questi i fattori, secondo gli analisti, che indicano un ambiente macro più stagflazionistico e a spingere gli investitori, soprattutto quelli più timorosi, a rifugiarsi nel dollaro. Altri investitori credono che la forza del biglietto verde non sia invece destinata a durare. 

 

Stagflazione: e se l’oro aumentasse eccessivamente il prezzo?

Tutto questo significa per l'oro - e forse, per un effetto a catena, per l'argento - che i tassi di interesse reali (in altre parole la differenza tra gli incassi degli interessi e l'aumento del tasso di inflazione) diventeranno sempre più negativi. Maggiore è l'inflazione consentita, maggiore sarà la perdita di potere d'acquisto della valuta nazionale. Questo, a sua volta, porterà coloro che cercano di proteggere qualunque ricchezza possano avere a rivolgersi a rifugi sicuri come l'oro. Si ritiene sempre che l'oro tragga beneficio da tassi di interesse reali negativi: più questi diventano negativi, migliore dovrebbe essere il rendimento dell'oro.

Quanto detto dipinge un quadro piuttosto deprimente e potrebbe non verificarsi affatto, ma probabilmente si dovrebbe giocare sul sicuro ed evitare le azioni tradizionali e gli asset non provati come il bitcoin, a favore di quello che si è dimostrato il rifugio sicuro per eccellenza nel corso dei secoli.

Nel frattempo l’oro viaggia spedito verso i 1.800 $/oz (e i 50 €/g!).