Dopo i massimi di marzo, l’oro ha sviluppato una tendenza ribassista. Tuttavia, secondo gli analisti di Australian Source Investment, nel medio-lungo termine il metallo giallo sarebbe destinato a essere scambiabile a livelli superiori al periodo pre-Covid.  

A inizio 2020 l'oro veniva scambiato al di sotto di 1500 $ l'oncia. Con il prosperare delle turbolenze economiche generate dalla pandemia, gli investitori si sono riversati sul metallo giallo alla ricerca di un rifugio sicuro. Così l’oro ha superato – per la prima volta in sette anni – i 1600 $. Il metallo prezioso ha poi superato i 2000 $ ad agosto, chiudendo lo stesso anno a 1891 $.

Nel 2022, dopo il rally di marzo, l'oro si è progressivamente raffreddato andandosi tuttavia a collocare a livelli superiori al periodo pre-Covid: dati di World Gold Council mostrano che alla chiusura del 2 settembre l’oro veniva scambiato a 1706,90 $ contro i 1537,85 $ toccati lo stesso giorno del 2019.

Secondo Fitch Solutions, l’oro sarebbe rimasto al di sopra dei livelli pre-Covid perché supportato da crescenti rischi di recessione, intensificatisi a seguito delle recenti dichiarazioni di Powel al Jackson’s Hole circa le politiche di aumento dei tassi previste dalle banche centrali che probabilmente si protrarranno anche nel 2023. Questo scenario andrebbe a introdursi in un contesto macroeconomico già complesso, con la guerra in Ucraina ancora in evoluzione e le tensioni per l’economia cinese con la pandemia Covid ancora persistente.

La recente flessione sul prezzo del metallo giallo sarebbe dunque del tutto fisiologica, da collegarsi all'aggressivo rialzo dei tassi da parte della Fed con un contestuale aumento dei rendimenti reali oltre che al rafforzamento del dollaro Usa.

Sempre secondo Fitch, il metallo prezioso sarebbe destinato a raggiungere una media di 1.800 dollari l'oncia nel 2022 e 2023, prima di scendere a 1.700 dollari nel 2024 e 1.610 dollari nel 2025. L’oro quindi sarebbe destinato nel lungo termine a viaggiare su livelli superiori al periodo pre-Covid, supportato da una pandemia ancora in corso e crisi geopolitiche.

Nel breve termine, tuttavia, i prezzi dell'oro sono rimasti piatti: gli investitori si sarebbero concentrati sul percorso di rialzo dei tassi della Federal Reserve statunitense a seguito degli ultimi dati sull'occupazione diffusi dal dipartimento del Lavoro Usa che mostrano ad agosto un tasso di disoccupazione cresciuto al 3.7%, 0.2 punti percentuali in più rispetto al mese di luglio.

Il prezzo dell’argento, altresì, ha toccato nella prima settimana di settembre un nuovo minimo annuo, arrivando a 0,57 $. Tuttavia, molteplici sono i fattori che potrebbero innescare nel 2023 un’inversione di tendenza.

L’argento è un metallo prezioso che ha ⁠molteplici applicazioni su diversi settori. L’offerta tuttavia non è illimitata.⁠ Con lo United Nations Climate Change Conference di Glasgow, il pianeta sembrerebbe avere abbracciato la svolta “green”. I governi punterebbero maggiormente sulle energie rinnovabili e il contenimento delle emissioni inquinanti intaccherebbero vari mercati, tra cui quello dell’auto, dove è considerato prossimo il passaggio di testimone dal motore a combustione a quello elettrico.⁠

Per l’argento si tratterebbe di una svolta positiva. Esso è infatti impiegato anche nella produzione di pannelli solari, oltre che nella costruzione di motori elettrici.⁠ L'applicazione dell'argento nell'industriale sembrerebbe esser quindi destinata ad aumentare nel medio lungo termine.

Nel breve termine, altresì, è stato annunciato il progetto di implementazione della rete 5G in India, il cui completamento sarebbe previsto entro il 2023. Mukesh Ambani, Presidente di Reliance Industries, ha parlato di un piano da 25 miliardi di dollari per implementare la rete nelle principali città, in un’ottica di estensione capillare e totale entro la fine del 2023. Questo piano potrebbe incrementare la domanda di argento: il metallo infatti è componente essenziale delle infrastrutture necessarie a realizzare il progetto. 

Sempre nel breve termine, è atteso nel 2023 l’incremento della domanda elettronica di smartphone: la domanda di argento potrebbe ricevere quindi una spinta ulteriore anche in funzione di questo.

Nel frattempo l'ETF di VanEck Gold Miners – indice composto dalle prime 53 società minerarie mondiali e dunque importante indicatore dello stato di salute dell’industria mineraria - è sceso di circa il 45% rispetto ai massimi raggiunti ad aprile.

Secondo Piero Cingari, analista di Capital.com, le cause sarebbero da ricondurre al calo dei prezzi dell’oro in combinazione con l’aumento dei costi dell’energia e tassi di interesse attesi più elevati.

I rischi al ribasso dell’indice sono legati alle prospettive di crescita globale. Da un lato vi è l’ipotesi di una recessione capace di smorzare la domanda di oro da parte dei consumatori:

  • i tassi di interesse attesi più elevati aumenterebbero il costo opportunità legato alla detenzione dei lingotti;
  • i rinnovati blocchi cinesi causati dal Covid, altresì, rappresenterebbero un fattore di rischio per l’industria mineraria, visto che la Cina è il più grande consumatore mondiale di oro.

Ci sono però anche opportunità di rialzo dell’indice. La Cina ha iniziato infatti a instaurare politiche volte all’abbassamento dei tassi di interesse con incentivazione all’aumento della spesa pubblica nell’ottica di fornire supporto a un’economia gravata dagli aumenti dei casi Covid e dai rinnovati blocchi. In particolare sono stati ridotti sia i tassi di interesse a 7 giorni (con l'obiettivo di immettere liquidità nelle banche sul breve termine) sia i tassi di riferimento a un anno (passati dal 2,85% al ​​2,75%).

Sul piano internazionale, inoltre, non è da escludere – tra consumatori e investitori - un aumento dell’aspettativa di inflazione, nonostante l’incremento dei tassi di interesse attesi. Ciò sarebbe un importante segnale di perdita di controllo da parte della politica monetaria sulla stabilità dei prezzi. Ne deriverebbe una generale perdita di fiducia nelle valute fiat. In questo scenario la domanda di metallo giallo potrebbe subire un’inversione di tendenza data la sua natura di bene rifugio per eccellenza, capace di proteggere l’investitore dalla perdita di potere di acquisto.

Nel frattempo instabilità e inflazione alimentano l'acquisto di oro da parte delle banche centrali

Le riserve auree della banca centrale sono complessivamente cresciute di 430 tonnellate nel 2021 e potrebbero incrementare nel 2022. Dalla crisi finanziaria del 2008, l’acquisto di oro da parte delle banche centrali ha sviluppato una costante tendenza al rialzo, raggiungendo il picco di oltre 35600 tonnellate a fine 2021 (fonte: FMI). 

Durante il secondo semestre 2022 sono state aggiunte alle riserve circa 270 tonnellate, con una domanda rimasta molto robusta anche a luglio: in questo mese le riserve auree globali sono aumentate di 37 tonnellate dopo l’aumento di 64 t registrato a giugno.

In particolare, nel mese di luglio è stata la Banca centrale del Qatar il maggior acquirente, con 15 tonnellate acquistate. Ora le sue riserve sono pari a 72 t: il 10% delle riserve totali detenute e la quota più alta mai registrata. Segue poi la Banca centrale della Turchia e quella dell’Uzbekistan, con rispettivamente 12 e 9 tonnellate aggiunte nello stesso mese.

Tutti questi incrementi spingono la domanda complessiva delle banche centrali da inizio anno verso la soglia delle 300 tonnellate di oro detenuto.

Secondo World Gold Council, l’incremento di riserve auree da parte delle banche centrali sarebbe da collegare ad inflazione e rischio geopolitico. Il metallo giallo infatti, oltre che rappresentare un fattore di  diversificazione e garanzia di stabilità finanziaria, ha solitamente il vantaggio di performare bene in condizioni di recessione globale dove il rischio valutario aumenta.

 

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