In un contesto come quello attuale - partendo quindi da un assunto ove le scelte espansive di politica fiscale e monetaria sono pressoché indispensabili - rimane da comprendere l’effetto delle stesse sul lungo periodo, soprattutto in merito al potenziale inflazionistico che si trovano a dover scontare.

Si potrebbe pensare che le misure fiscali dei governi che si indebitano per investimenti con ritorno di crescita anche modesto, specie in “un mondo di tassi a zero”, non vadano ad aumentare il rapporto debito/Pil, ma al contrario lo abbassino. Così come un aumento del Pil fatto per metà o più di inflazione, in larga parte dovuto alle politiche monetarie espansive, non debba configurarsi come un problema, purché un po’ di crescita in termini reali sia visibile.

D’altro canto, le misure sinora intraprese - specie in USA - sono da record. Se si considera il trilione in arrivo entro la fine dell’anno, insieme ai risparmi elevati delle famiglie formatisi per sussidi e minori spese durante il lockdown - pronti ora per essere spesi-, il potenziale inflazionistico è evidente. A ciò si aggiunga la flessione dell’offerta nei settori colpiti dalla pandemia a fronte di una domanda che presto tornerà normale, le riconversioni dei disoccupati nel mercato del lavoro, unitamente alle aspettative di inflazione che continuano a crescere e possono esse stesse contribuire a far salire i prezzi.

Dove siamo ora?

Per la prima volta in assoluto (il 9 febbraio 2021, ndr), il valore totale del mercato azionario statunitense vale il doppio dell'economia reale. Una sopravvalutazione delle asset class appare molto probabile.

Una settimana fa, il CIO di Bank of America ha dichiarato che lo tsunami di stimoli monetari e fiscali, insieme all'imminente aumento della velocità monetaria mentre l'economia mondiale emerge dai blocchi, porterebbe a un surriscaldamento economico senza precedenti.

Dunque una situazione critica, al punto che Michael Burry - l'uomo diventato famoso nel 2008 per il suo Big Short sui mutui subprime, a cui si è ispirato il film “La grande scommessa” - prevede iperinflazione stile Weimar negli Stati Uniti, dimostrando quanto il nostro mondo sia simile a quello pre-Weimar, quando si conobbe l’iperinflazione più acuta della storia.

Cosa aspettarsi per il futuro?

È molto probabile che l’inflazione arriverà. La domanda è: in quale misura?

Se gli stimoli sono necessari, si può discutere sulla misura e la modalità degli stessi, ma la società o meglio l’opinione pubblica li richiede: se non accontentata, prenderanno piede le politiche di qualche altro decisore di diversa fazione che spingerà sull'acceleratore.

Quanto alle politiche monetarie in USA, ad esempio, difficilmente si andrà in corso a “tapering” abbandonando quella politica di “ripresa a tutti i costi”. Se ci fosse anche il minimo sentore di disallineamento col Tesoro, molto probabilmente i vertici della Fed potrebbero essere sostituiti.

Tutti sentori di una spirale negativa e latente che incomincia a farsi strada nel pensiero di massa.

I prezzi delle materie prime stanno aumentando, mentre il denaro viene trasferito a mo’ di “helicopter money”. Denaro che con ogni probabilità verrà speso quando non ci saranno abbastanza beni per soddisfare la domanda. In effetti, è ovvio come durante la pandemia l’offerta si sia dovuta allineare alla richiesta di beni e servizi, ma prima o poi la domanda è destinata a riprendersi e difficilmente sarà possibile incontrare la richiesta con la stessa velocità.

I tassi di interesse sono destinati a salire, prima o poi, riflettendo un calo del potere d'acquisto delle valute legali.

Le conseguenze per il mercato dei metalli preziosi

In questa cornice è malinteso comune che l'interesse crescente vada visto in senso ribassista per oro e argento: in quanto maggiore è il tasso di interesse sulle valute legali o su investimenti come i Titoli di Stato, maggiore è il costo opportunità di possedere metallo fisico, che "non paga interessi". Il confronto è però soggetto a bias, poiché il possesso di oro fisico è equivalente a quello di denaro contante: nessuno dei due paga infatti interessi.

In ultima istanza si può concludere che i tassi riflettano la "time preference" di detenere l’asset oggi piuttosto che in futuro. Quindi, se la base monetaria aumenta, presumibilmente la time preference di detenere moneta calerà; appare invece ovvio come la natura stessa dell'oro - bene scarso - non permetta questa estensione. 

Chiaramente, esistono le condizioni affinché i tassi di interesse aumentino in modo significativo, dato l'attuale grado di inflazione monetaria, che probabilmente sta entrando in spirali ancora più negative per il dollaro e le altre valute legali. Ciò non dovrebbe però inficiare sulle proprietà della moneta metallica: anzi, dovrebbe incoraggiarla.

Nel contesto esposto l’oro fisico è senza dubbio una delle migliori alternative contro lo spettro dell’iperinflazione.